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L’opera d’arte nella costellazione del denaro (tentativo di oggettivazione nella compravendita di opere d’arte) di Claudio Parrini

Tratto da studi su “Pittura di consumo” (2010-14); Parte sul VALORE

 Questo scritto, assieme ad altri, è frutto di esami ed osservazioni più ampie ed approfondite, che sto portando avanti da anni, sul tema arte-economia-sopravvivenza.

Valore dello scambio, oggetto e soggettività

Lo scambio o la compravendita di un oggetto d'arte è proprio quel momento in cui esso, incarnando, quasi difendendo a suo modo, la sua oggettività; attraverso uno scambio ritenuto “alla pari” o tramite mediazione monetaria o altro valore-intrinseco (oro, metalli e pietre preziose, criptomonete), o con un numero superiore di oggetti della stessa natura ritenuti di valore inferiore (un dipinto in cambio di due disegni e un acquerello); o di natura completamente diversa (un quadro con una damigiana di vino), o altro ancora, -le forme di scambio e baratto sono variegate e indefinite. Lo scambio dunque, supera la pura soggettività dell'oggetto d'arte scambiato e viene a mancare il significato di valore meramente riferibile ad un concetto, uno “sguardo”, e attribuzione soggettiva, in primis naturalmente quella affettiva. Questo momento è l'apice, l'atto-emblema della comunicazione dell'opera-oggetto-d'arte: una comunicazione “reale” (qui nel senso non solo di fruizione e godimento, ma si passaggio, di circolazione, di senso transitivo) e pratica, perché con la “stretta di mano tra soggetti”, viene come con un'accetta tagliato di netto il cordone ombelicale della soggettività dell'opera.

Il frutto spontaneo, raccolto senza fatica e non dato in scambio, ma consumato direttamente, non è un bene economico” (G. Simmel).

Il valore di un oggetto d'arte, e quindi, tutti i suoi risvolti economici puri, nasce nel momento, nell'atto (in simultanea) dello scambio, della cessione, perché lo scambio delinea, demarca (e allo stesso tempo abbatte), la barriera che si forma tra il soggetto e l'oggetto, che riesce a trasformare l'energia emozionale soggettiva nella decifrazione e “peso” dell'oggetto. La relazione economica è quindi basilare (io rinuncio, reciprocamente come te, ad un qualcosa per ottenere altro), per categorizzare e tassonomizzare il mondo degli oggetti ritenuti opere d'arte in una “scala di valori”. Questa scala appunto si basa sull'oggetto desiderato, voluto, (ricercato), in rapporto e confronto con un altro oggetto che possa essere ceduto in cambio. Allora in questo caso siamo di fronte ad una relazione economica reale -fondata sul desiderio, sulla passione. Certamente l'aspetto della variabile stupore/emozione in questo intreccio, tra due oggetti d'arte, è molto forte, astratto e spesso impenetrabile, da un punto di vista psicologico ed estetico.

Valore e forza lavoro nell'opera d'arte

Capisco che l'inafferrabilità, i calcoli impossibili, la bizzarria e tanto altro, sono tutti “messi in conto” in questo rapporto: valore e lavoro nella realizzazione di un'opera d'arte. Però vale la pena di soffermarcisi e fare, anche come tentativo, un analisi -che potesse guardare anche al contemporaneo. Innanzitutto c'è da domandarsi se chi è disposto a comprare un oggetto d'arte si ponga il problema nel legame prezzo e valore dello stesso, la questione della forza lavoro dovuta: ovvero del tempo impiegato, del sacrificio rispetto ad un altro elemento vitale, dell'usura degli organi dell'artista, eccetera. Punto interrogativo necessario. Se sì entriamoci dentro con cautela. Se il contraente-compratore tenesse in considerazione la quantità e la qualità di forza lavoro diretta e oggettivata insita per esempio (per essere semplici) in un quadro, (ma potrebbe essere appunto una installazione, una performance e via dicendo), non si potrebbe rischiare una omologazione, una categorizzazione (valore-forza lavoro), della tipologia del dipinto? Non potrebbe nascere uno standard, ovvero un prezzo che è indicizzato ad un valore/lavoro più o meno uguale per tutti i quadri? Questo forse è l'esempio attuale di certe opere esposte all'Ikea oppure di certi siti cinesi (di produzione industriale stile Fordista di quadri), o tornando indietro nel tempo si può pensare ai post-macchiaioli degli anni '50-'60 livornesi, che battevano trattorie, e luoghi di incontro in genere. per piazzare le loro marine o nature morte con pesci e frutta, o se vogliamo all'eredità di una cera scuola Napoletana. Per non parlare, su altri livelli e contesti, della poetica della serialità di Andy Warhol in America o di Fluxus in Europa? Il valore economico di un oggetto d'arte, in sintesi, si può “ricavare”, dai desideri, passioni, manie ossessioni, che un individuo è disposto a scambiare (anche in termini monetari); dunque un desiderio scambiato con un altro desiderio forma il valore. Ma nel cosmo dell'arte contemporanea (e non) articolare una teoria del valore, e quindi del prezzo di un'opera d'arte è molto complesso. Nell'economia dell'arte, paradossalmente, oggi i contraenti si comportano, secondo studi etnologici sugli uomini primitivi, allo stesso modo: con estrema contrarietà e timore nei confronti dello scambio reciproco. Per vari fattori, la mancanza di una misura dei valori in generale (come è per altri prodotti, pane, computer, latte, eccetera), un mercato pressoché anarchico, e poi, non di poco conto, il fatto che solitamente l'uomo primitivo (come l'artista, la maggior parte degli artisti...) realizza gli oggetti con le proprie mani, e verrebbe così messa in vendita parte, porzioni della propria personalità, che a non tutti piace. Tra il collezionista e il gallerista-mercante-mediatore (e anche l'artista stesso), in una compravendita d'arte, nel caso in cui non ci siano scale di valori-prezzi affidabili e ben regolate, si ripete quasi come un archetipo, ciò che accadeva con lo scambio di certi attrezzi primitivi -anche se oggi l'affare si conclude attraverso il denaro da una parte e l'opera d'arte dall'altra. Ma i meccanismi di questo passaggio hanno molto a che fare con le soggettività, che si rapportano con fattori “antichi” come l'angoscia di perdita di qualcosa di riferibile all'Io (sia da parte dell'artista che da quella del collezionista), effervescenza dell'aspetto feticistico, ansia di vendere-acquistare qualcosa di utile-inutile; insomma una buona mancanza di naturalezza.

... Ma nel senso che si tratta del valore di una merce la quale non ha in sé alcuna ragione per mutare il proprio valore quando la distribuzione muti”.

Così scrive Claudio Napoleoni a proposito della merce che non varia la sua 'misura invariabile del valore' al mutare della sua circolazione, distribuzione, passaggi vari. Questo è l'esempio di moltissimi oggetti che ci circondano, che appunto non cambiano di valore (o se ciò' avviene è estremamente minimale e irrilevante) al variare della sua stessa distribuzione: per esempio un litro d'olio, un pacchetto di sigarette, un kilo di farina comune, eccetera. Quindi con le opere d'arte come ci comportiamo? Così di primo impulso mi viene da pensare, sulla disamina di Napoleoni, -se si possa tentare un approccio, un tentativo di analisi- di avere a che fare con un qualcosa di estremamente variabile, con polarità e limiti estremi, una sorta di prisma del valore dell'oggetto d'arte, di un animale a più corna. Cominciamo con degli esempi spiccioli. Un quadro che è pubblicato in un catalogo vale più di un altro che non lo è, quindi la distribuzione cartacea ha fatto sì che il valore aumenti. Una esagerata, falsata, millantata carriera e produzione di un artista, osannata in un'asta televisiva, può aumentare momentaneamente il valore di un'opera, ma una vola capita la mascherata il valore crolla. L'alchimia che costruisce, fa stare in piedi il valore di un opera è molto complessa, e la letteratura al riguardo è immensa, però merita di soffermarsi in certi casi per osservare e studiare la questione. La circolazione delle opere d'arte, lo stesso consumo, per usare un termine povero ma pratico, nel bene e nel male influiscono molto e a vari livelli sul valore dell'opera, quindi riprendendo Napoleoni si può affermare con fermezza che esiste per gli oggetti d'arte, per la propria natura, una 'misura iper-variabile del valore', che altri oggetti non posseggono.

L'opera d'arte nella costellazione del denaro

Se pensiamo al denaro come al polo principale centrale, nodale e destinale delle cose; di una sorta vera e propria di costellazione di oggetti, merci, forza lavoro... insomma tutte le cose comprese le opere d'arte, occorre intercettare e intendere bene che questo polo-denaro assume una forma di valore puramente astratto non spiegabile con forme pratiche di esempi o calcoli specifici fissi e determinati. Con il termine astratto si conferma che il valore dal punto di vista economico è quello che ci permette di scambiare il denaro con un qualcosa di diverso, all'interno della costellazione immaginaria ma allo stesso tempo reale, pensando al mercato al mondo comune delle relazioni umane, in modo molto semplice e neutro, come per dire che il denaro vale per quello che è, e basta. Più che su questa astrattezza del denaro è interessante, nel nostro caso: le opere d'arte, cercare di entrare in questo intreccio di rapporti mercantili che si relaziona sempre con questo polo unico che è il denaro. Quindi in una relazione economica è importante capire sì lo scambio di “gioie, desideri e sacrifici”, ma soprattutto registrare i passaggi, gli “umori”, le altalene dei prezzi, i fattori intrinseci, esterni ed accidentali che danno vita, che fanno muovere il tutto il meccanismo. Ed è complicato entrare appunto nella definizione di denaro, quello che vale in quanto tale. Certo in questo giro di “astri”, l'opera d'arte (a meno che non sia ormai catalogata come classico bene rifugio o non sia inserita in dei canali standard omologati, come certi portali su internet o fiere d'arte -mi verrebbe da dire opere d'arte “astratte” proprio come il denaro), assume un aspetto amplificato e camaleontico rispetto alle altre merci, proprio per le sue componenti naturali che spesso e volentieri l'uomo comune non le mette in conto, che sono: la sensibilità, l'emozione, l'unicità, la stranezza, la follia e la tenerezza. Paradossalmente se il denaro è un valore irreale oserei dire (ovviamente con un suo potere reale), pur rimanendo l'asse su cui tutto ruota, l'opera d'arte almeno fino ad ora rimane l'oggetto più misterioso. Se il denaro è ciò che vale, l'arte e quella che tira!?

Tentativo di oggettivazione nella compravendita di opere d'arte

Ovvero, in sintesi tentare anche nel senso proprio del Einfühlung, empaticamente, e se vogliamo anarchicamente, di trovare delle forme di trasmissione “fisica” (lo virgoletto perché esistono anche lavori artistici immateriali) delle opere d'arte senza l'uso di una moneta. E' noto che ogni forma di baratto (scambio di cose dello stesso valore, come per dire un tipo di zappa con un martello; o di scambio vero e proprio, cioè un oggetto di un determinato valore con tre oggetti di valore minore: un trapano in cambio di una lima, una livella e delle lame per una sega), ha come punto di riferimento e paradigma, lo scambio in natura, o in altri termini più spicci, l'esclusione di un qualcosa di altro: denaro, sale, oro, pietre, criptomonete eccetera. E' logico che in questa fase entrano in ballo fattori come la necessità, la reperibilità, la rarità, la durabilità nel tempo e via dicendo. Proviamo dunque a dare una torsione a questa faccia della compravendita e cercare di pensare le opere d'arte inserite nel cosmo del baratto e dello scambio. Certamente la questione è chiara (ma potrebbe essere oggetto di studio in un altro momento)se io baratto un Picasso con un Matisse della stessa “taglia”; oppure scambioo un Picasso con un Dufy e una scultura di Arp. E se noi provassimo a scambiare le opere d'arte con altri oggetti, e viceversa? Come la mettiamo? Sicuramente è un qualcosa di bipolare, nel senso che potrebbe essere un “esperimento di laboratorio” così come allo stesso tempo, un “atto circense”, ma in fondo in fondo l'opera d'arte ha sempre avuto una sua proprietà monetaria, di scambio con qualcosa di altro. Gli esempi più vicini sono quelli degli artisti di piccoli paesi come di metropoli, che per un piatto di minestra e un bicchiere di vino, così come per un hamburger ed una coca, scambiano un loro piccolo lavoro. Oppure il caso dei corniciai (o produttori di telai) che per farsi pagare dieci pezzi magari accettano un tuo pezzo, oppure semplicemente un bel libro con un disegno, un taglio di capelli per un acquerello, un mese di affitto dello studio per qualche dipinto, un'auto per un tot di sculture... Nella storia ci sono degli esempi mitici: il macellaio dava una fetta di carne a Ligabue per una sua tela... eccetera; ed oggi? Un tablet per un 50x70 di un pittore emergente? Vedete, allora, che si entra in un mondo articolato ma vitale. La torsione di oggettivare il valore delle cose più comuni, come un televisore, con un'opera d'arte, come una scultura non è così naturale e semplice. Ma ci sono benissimo delle zone, delle aperture, degli interstizi, delle zeppe, delle connessioni, che lo stesso artista potrebbe inventare, e potrebbe essere anche una via d'uscita naturale per la sua sopravvivenza e liberazione da vincoli assurdi e negativi.

Claudio Parrini

VIII/2014

ClaudioParrini (1963), networker, pittore. Vive tra l'Umbria e Milano.

Inizia ad occuparsi di Rete nei primi anni Novanta con Dada e StranoNetwork, e poi insieme a vari gruppi: UnDo.Net, Quinta Parete e XS2WEB, ha realizzato negli anni progetti su internet e laboratori, (con Ferry Byte ha pubblicato “motori di ricerca nel caos della Rete” per i tipi della , ShaKe Ed. Milano, 2001); da solo dipinge e scrive.

(Foto: “L'opera d'arte nella costellazione del denaro” progetto di schema grafico di C. Parrini)

©Claudio Parrini Archive 2008-2014 All rights reserved

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